Saturday, 7 December 2019


Dalla lettura di Peter Eisenman. Lotta al cubo, Antonino Saggio

The Virtual House
“The virtual is opposed not to the real but to the actual. The virtual is fully real insofar as it is virtual.”
(“Il virtuale si oppone non al reale ma all'attuale. Il virtuale è completamente reale nella misura in cui è virtuale.")
 G. DELEUZE, DIFFERENCE AND REPETITION

Peter Eisenman sostiene l’autonomia sintattica dell’architettura: in particolar modo nella prima fase di sperimentazioni l’architettura è vista come testo, escludendo qualunque altro valore comunemente assegnatole. La serie di case, significativamente intitolate House I, II, III… rappresentano delle pure esercitazioni, mosse tanto dalla “crisi” derivata dalla fortuna del movimento postmoderno quanto da un’insaziabile voglia di comprendere le infinite possibilità della propria ricerca architettonica.
Le opere di Eisenman, siano esse realizzate, disegnate o modellate, sono mosse da una l0gica essenzialmente vettoriale, come egli stesso sottolinea in svariate occasioni. Già a partire dalle House sopra citate, pur se a livello “embrionale”, piani e volumi sembrano poter traslare e ruotare come fossero entità appoggiate; con la tecnica del “palinsesto” i “layer spenti” riemergono plasmando i movimenti delle nuove architetture; le strutture che pone in “between” si conficcano dinamicamente tra l’esistente. Con la Guardiola House (1988) il concetto di vettore irrompe con tutta la sua forza: movimenti oscillatori generano campi virtuali che possono reificarsi o meno, lasciando in ogni caso traccia della loro celata presenza.

Il tema del campo virtuale è estremamente caro ad Eisenman al punto che, rielaborando il concetto spaziale della House IV, vi dedica un testo (Virtual House, 1987). E il progetto omonimo del 1997 è emblematico. “La casa viene astratta in nove cubi. Questi nove cubi costituiscono un potenziale campo di relazioni interne e condizioni di connettività. Ogni connessione può essere espressa come vettori che agiscono in un dato campo e il movimento di ogni vettore nello spazio e nel tempo comporta modifiche del campo stesso: le tracce che ogni vettore lascia nel suo spostamento. Ogni potenziale connessione può essere espressa come un vettore. Ogni vettore ha un campo di influenza che attualizza il suo movimento virtuale nel tempo. Questa attualizzazione viene visualizzata attraverso l'effetto di ogni vettore sulle linee all'interno del suo campo di influenza. Le linee e le loro proprietà geometriche diventano forze. Per ogni vettore, gli attributi sono stati impostati arbitrariamente per descrivere il suo campo di influenza. I movimenti e le interrelazioni sono stati prodotti da questi attributi, che ora sono visti come vincoli che influenzano la posizione, l'orientamento, la direzione e la ripetizione di qualsiasi vettore all'interno dello spazio. Questi vincoli operano l'uno sull'altro come forze locali. Ogni vincolo agisce e reagisce in base a tre tipi di campi di influenza: punti, orientamento e direzione. Le condizioni di ciascun vettore vengono registrate, non vincolate o vincolate, come una serie di tracce.” (da https://eisenmanarchitects.com/Virtual-House-1997 )

Questo intrecciarsi di parole mi è sembrato estremamente significativo: le linee virtuali si oppongono all’attuale in quanto esse rappresentano la registrazione di tracce generate dal movimento spazio-temporale dei vettori, il quale modifica istante per istante i campi (quello che è l’attuale viene meno non appena si è reso manifesto!). Allo stesso tempo, nel momento in cui il movimento vorticoso dei vettori viene fermato e congelato in forme, il virtuale cessa in un certo modo di essere reale, ossia “perde la sua virtualità” e diviene “attualità”.
In Virtual House Eisenmann spinge al limite la sua "lotta al cubo": del cubo non resta che la memoria a ritroso delle linee che lo hanno modificato. Il cubo c'è e non c'è, o meglio esiste ma in un'altra dimensione spazio-temporale...





Monday, 25 November 2019


"Affioramenti dal Basso", Antonino Saggio, Coffee Break

“Ora la bellezza del termine affioramento è nel suggerire un processo di disvelamento "al contrario". Come se il progetto si debba formare certo attraverso stratificazioni, ma invece che attraverso una modalità "dall'alto al basso" con una modalità dal "basso all'alto". Come un insieme di strati che affiorino, che emergano.”


Il concetto di “layer” nella progettazione architettonica contemporanea è intimamente connesso al termine “affioramento”, nonché alla nozione di “infrastructuring”. Nell’era dell’industrializzazione e della modernità alle architetture era richiesto di assolvere funzioni che fossero essenzialmente monotasking: i diversi strati (edificato, percorsi, verde, spazi aperti), pur se estremamente coerenti tra loro, erano intesi come calati dall’alto piuttosto che affioranti dal basso. Nel mondo industriale le autostrade erano autostrade, le dighe erano dighe, e il loro blackout comportava enormi disagi per la collettività. La città dell’era dell’informazione è chiamata a ripensare se stessa per reindirizzare le spinte progettuali dall’esterno verso l’interno, verso le brown areas che, con il supporto di adeguate infrastrutture, possono essere revitalizzate e divenire catalizzatori di interessi sociali e economici. E’ evidente come il processo progettuale, riguardando i luoghi delle periferie, non può che “affiorare” dal basso. Ma l’“affioramento” non è da intendersi in semplice senso metaforico: le architetture si plasmano nel contesto di appartenenza arrivando persino a confondersi con il suolo e a modificarsi con le risorse naturali, in primis quella idrica. Gli spazi aperti accolgono l’acqua in caso di emergenze (esondazione di fiumi, piogge intense), inondandosi, affiorando e riemergendo. Edificato, percorsi, verde, non sono più layer disgiunti e il confine tra l’uno e l’altro diviene così labile da far rientrare il tutto nel concetto più ampio di “scape”. Il paesaggio architettonico e urbano della contemporaneità necessita di un ristabilimento di connessioni fisiche, sociali, tecnologiche (infrastructuring) con architetture che siano “multitasking”, che operino per “iper-layer”.


BIG U, Manhattan


















Nuove Sostanze. Manifesto della Rivoluzione Informatica

“Le aree si liberano, si cerca un rapporto più stretto con l'ambiente, si pensa alla architettura come ibridazione tra natura, paesaggio e tecnologia, si cercano spazi come sistemi complessi sempre più interagenti perché l'Informatica ha cambiato e sta cambiando il nostro essere al mondo ed ha aperto nuove possibilità al nostro futuro" (Antonino Saggio, Nuove Sostanze. L'informatica e il rinnovamento dell'Architettura)


“Sostanza di cose separate”, questo era il fine cui tendevano gli architetti della “Nuova Oggettività”, ossia una “rappresentazione estetica condivisa” (Saggio) volta a risolvere i problemi del mondo industriale (casa per tutti, dotazione di servizi minimi, zoning funzionale…). Oggi gli orizzonti della ricerca architettonica puntano verso “nuove sostanze”. Lo “urbanscape” guarda alle brown areas per ripensare all’interstizio e riconnettere le aree dismesse, ridando loro dignità e vitalità. La natura è vista non più come risorsa da sfruttare ma diviene oggetto di valorizzazione, integrazione e salvaguardia nonché paradigma della complessità di interazioni cui tendere nella progettazione architettonica. Allo “spazio interno” si sostinuisce lo “spazio sistema”, in cui cadono le frontiere nette tra interno e esterno, edificato e non, spazi serventi e serviti, perché l’architettura “iper-funzionale” nasce “naturalmente” dal contesto con cui è chiamata a confrontarsi, ne segue le linee forza e su esse si conforma.  Tutto ciò è accaduto perché siamo nell’era della “rivoluzione informatica”, al contempo “causa e strumento” dello svilupparsi di queste “nuove sostanze”.


Il concetto mi è sembrato estremamente condensato in una foto, opera di Luigi Ghirri (1943-92): l’artista con le sue fotografie ha immortalato molteplici aspetti del “paesaggio dell’architettura” (così si chiama il catalogo della mostra dedicatagli alla biennale di Milano del 2018). La feritoia come figurazione dell’interstizio, ma anche come collegamento tra parti, collegamento non immediato e razionale, ma evanescente (lo sfondo è sfumato, è luce! Finirà? Sarà un bivio? Da dove entra la luce?). E poi, appunto, la luce, ossia la componente naturale, come parte attiva del progetto. Manca la componente informatica: le foto di Ghirri sono tese più alla scoperta del mondo della comunicazione in senso pubblicitario e delle periferie e dei paesaggi naturali come sede di vitalità; d’altronde la sua scomparsa è avvenuta in un momento in cui la “rivoluzione informatica” stava per esplodere con tutte le sue forze.


Il compito sarà il nostro: essere “prosumers” e non “consumers” dei mezzi informatici a nostra disposizione. Questo ci consentirà di sviluppare a pieno il concetto di “field” affrontato nel laboratorio di sintesi: una trama che con i nostri progetti architettonici siamo chiamati a intessere al fine di instaurare continue relazioni con il contesto, con le sue componenti visibili e meno visibili o addirittura non visibili. Vi è una grossa componente di soggettività ma tutto parte dal contesto e dalla volontà di interpretarne aspetti considerati rilevanti per generare un “rapporto univoco” tra suolo e architettura. La complessità del progetto risiederà proprio nella complessità di tale trama.  

Per vedere altre foto dal catalogo della mostra allego link di riferimento https://www.domusweb.it/it/architettura/2018/07/10/luigi-ghirri-il-paesaggio-dellarchitettura.html

Sunday, 20 October 2019

Lo strumento per ridefinire i confini dell'architettura -17/10/19



Ridefinire i confini dell’architettura -Paesaggio, Paesaggio mentale, Strumento-

Pensando ai temi trattati a lezione e specialmente quello di “paesaggio” inteso come rappresentazione estetica, condivisa collettivamente e culturalmente, ma in costante evoluzione, di una parte del mondo” (Antonino Saggio, Introduzione alla rivoluzione informatica in Architettura), mi è sorta spontanea una riflessione. Il paesaggio inteso come costruzione mentale implica che noi possiamo vedere e condividere quella determinata rappresentazione estetica che della realtà si ha, ma come sarà questa “rappresentazione” per le persone che “vedono” diversamente da noi? Ipovedenti o che non vedono proprio? Sicuramente anche loro avranno una loro “rappresentazione condivisa”, ugualmente valida, e per certi aspetti molto più sensibile, ma comunque diversa!

E da questa riflessione nasce il Concept che ho pensato potesse essere pertinente al ragionamento, dove la crisi è la condizione di “ipovedenza”. Immaginiamo una persona ipovedente ad esempio nel 1300: non poteva di certo cogliere il paesaggio dei Lorenzetti -nemmeno immaginarselo!- ; ne avrà avuto uno suo, ma probabilmente così diverso dai normo vedenti da far sì che questa condizione in un certo senso pesasse molto, sul modo di percepire la realtà e sulle condizioni di vita stesse. Immaginiamo questa stessa persona prendere una macchina del tempo e trovarsi nel mondo di oggi. L’avanzamento delle conoscenze aiuta oggi le persone ipovedenti a condurre una vita “normale”, e anche la progettazione in quest’ambito gioca la sua parte. Non solo abitazioni dove è più facile e immediato muoversi, prive di spigoli e sporgenze, ma ambienti dove la domotica entra come strumento progettuale determinante per rendere il più possibile autonoma la persona nelle operazioni della quotidianità. E l’Information Technology non si ferma qui: oggi è possibile grazie alle nuove tecnologie sviluppare i sensi di questa persona, potenziare la vista con occhiali e visori che consentono, anche grazie all'uso di ultrasuoni, di orientarsi nello spazio, avere immagini più nitide di quel che li circonda, usare telefoni e tablet. Quella stessa persona ipovedente grazie alle strumentazioni sviluppate e in continuo avanzamento, sarebbe oggi capace di cogliere, in larga parte, il significato di quella “rappresentazione estetica” dei Lorenzetti, rielaborata dai software -strumenti dell’I.T.- e ricomunicata grazie a visori speciali -a loro volta strumenti-.

Rielaborazioni "concettuali" personali dell'Allegoria del cattivo e del Buono governo: come la vedrebbe una persona ipovedente e come software attuali potrebbero rielaborarla e ricomunicarla



Tuesday, 15 October 2019

Informazione e architettura. Comunicazione Marsupiale -lezione 14/10/19- RIFLESSIONI E SPUNTI-



Da "La via dei Simboli", Antonino Saggio
“Che cosa è avvenuto in questi trent'anni?
È avvenuto che il mondo, e gli architetti se ne stanno rendendo conto, è mutato e che siamo nell'epoca delle informazioni, nel pieno della Rivoluzione Informatica. E l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi, causa effetto, ma per messaggi metaforici, traslati. Un edifico non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando serve, anche simboli”.


Il movimento moderno, a partire dal Bauhaus, aveva escluso l’esistenza di una componente simbolica nell’architettura: il simbolo era inteso negativamente, espressione di un’istituzione, del potere, e le esigenze erano diverse, di case realizzabili con i tempi e i modi della rivoluzione industriale.
Oggi, epoca della “rivoluzione informatica”, le esigenze sono diverse: le conoscenze sono ben maggiori e in continuo rapido sviluppo in particolare grazie alla stessa informatizzazione. Le informazioni si condensano, si riducono all’essenziale (senza però impoverirsi!), se non addirittura oltrepassano il limite dell’essenziale. E, oltrepassando il limite, diventano persino metafora di loro stesse (come gli esempi pubblicitari visti a lezione). Tutto ciò è direttamente ricollegabile alla questione della “nuova soggettività”: il simbolo è come un “dato” cui potenzialmente ciascuno potrebbe dare una decodificazione diversa. Questo è un rischio ma anche una sfida per l’architettura che oggi è chiamata a confrontarsi con problematiche non meno rilevanti di quelle affrontate dal Bauhaus o ai CIAM. La “smart city” è anche “città inclusiva”, e la componente tecnologica e sociale si intrecceranno in un’architettura che sempre più tenderà ad “alludere” piuttosto che a “dire univocamente”.


Riguardo al dibattito in aula sull’influenza del livello metaforico e del mondo della digitalizzazione e in relazione al progetto Barcode ho trovato navigando in rete un progetto di una torre alquanto “insolita”, ispirata… all’hotspot!! Allego anche il link della pagina, ci sono altri progetti di Jürgen Hermann Mayer dalle forme decisamente particolari (tra cui “Metropol Parasol”, una specie di “foresta” urbana)






Monday, 14 October 2019

"Il ruolo struttutrale dell'informazione: Terza Ondata" -10.10.19- RIFLESSIONI E SPUNTI-



Il ruolo strutturale dell’informazione: la TERZA ONDATA

“Se la trasparenza era l'estetica e l'etica, la ragione e la tecnica, di un mondo che razionalmente voleva affrontare per le grandi masse di lavoratori dell'industria un avanzamento di civiltà degli standard di vita (e vi è riuscito!), auspico che l'interattività costituisca un punto di coagulo dei pensieri di oggi per una architettura che, superata l'oggettività dei bisogni, possa affrontare la soggettività dei desideri”. (da Antonino Saggio, "Nuova soggettività. L'architettura tra comunicazione e informazione")

Riflessioni e spunti:
Uno degli aspetti più rilevanti della società contemporanea è decisamente la soggettività che effettivamente, come visto a lezione, caratterizza anche gli ambiti più impensabili della quotidianità. Tutto è personalizzato e personalizzabile, a scopo non solo estetico ma anche di “marketing”. E forse le persone tendono a volersi “distinguere” anche in risposta a una società che tende all’ “apparire”, più che all’ “essere” (il fatto che “esistiamo”, per usare una citazione della lezione, ormai è dato per scontato; conta l’“informazione” che di noi vogliamo trasmettere) …
Ma la soggettività è anche positività, come visto porta al riciclo e al riuso e può avere un ruolo determinante anche nel campo dell’architettura e della progettazione urbana (o meglio “ri-progettazione” dell’“interstizio”). Un ruolo fondamentale giocano in ciò le componenti dell’interattività e della flessibilità.

A riguardo mi è sembrato interessante riportare il caso della “CASA Ojalà: the infinite choice” presentata al Milan Design Week lo scorso Aprile: il nome fa riferimento, non soltanto all’infinità di scelte e combinazioni che questa casa di appena 27 metri quadrati offre al suo inquilino, e che la rendono una casa prefabbricata piccola, ma interamente personalizzabile; la scelta significa anche “la scelta dell’infinito”, ovvero di vivere a pieno gli spazi.









Wednesday, 9 October 2019

Appunti lezioni


 Lezione 1                                                                   Lezione 2











Riflessioni/approfondimenti sugli esempi



1. Frank Gehry -Guggenheim Museum Bilbao, pag. 31 di "Introduzione alla rivoluzione informatica in Architettura"-

L'architettura torna a essere metafora e espressione: forme libere, impensabili in un passato non troppo lontano, prendono forma concreta. Inoltre l'aspetto comunicativo gioca un ruolo fondamentale: come ben messo in evidenza dai passaggi del libro l'architettura diviene "meta di pellegrinaggio", quasi commercializzata come prodotto. Ciò potrebbe avere risvolti ben più positivi di quelli legati al semplice "turismo".

Se si pensa alla grande potenzialità che tutt'oggi arte e architettura hanno di catalizzare l'attenzione pubblica -grazie anche agli strumenti persuasivi della comunicazione - ciò potrebbe rappresentare la "chiave di volta" per affrontare alcune problematiche urgenti (cambiamento climatico, riduzione di risorse idriche, inquinamento, povertà ecc...): un'architettura virtuosa che diventi "virale". 



Riguardo l'architettura di Gehry mi è sembrato interessante l'articolo "The Software Behind Frank Gehry’s Geometrically Complex Architecture" del quale riporto il link di riferimento (la pagina contiene numerosi altri link di rimando a articoli o video) https://priceonomics.com/the-software-behind-frank-gehrys-geometrically/
e una citazione:

<<"The first generation of architecture and engineering software was developed in the late 1970s. It allowed designers to draw via the computer instead of on paper. But the results were still just drawings.  In the 1990s, Frank Gehry pioneered a second generation of  “smart” digital design in architecture, by using software to optimize designs and translate them directly into a process of fabrication and construction.

Now known in the industry as parametric design and building information modeling, this approach has ushered in a new era of architecture, according to art historian Irene Nero: the era of “technological construction.”>>

 2. Walter Gropius -Bauhaus, pag. 32-33 di "Introduzione alla rivoluzione informatica in Architettura"-  

Walter Gropius trova il modo di reagire alla crisi della modernità sviluppando un'architettura volta a comunicare null'altro se non se stessa. I criteri "funzionalisti" sviluppati e insegnati nella scuola del Bauhaus, nel campo architettonico e non solo, derivano dal mondo dell'industrializzazione e delle "macchine". 
Oggi le necessità sono nuove e i mezzi diversi: serve una nuova architettura.







In rete ha colpito la mia attenzione questo logo: come una specie di "corto circuito" il mondo della comunicazione e dell'informazione, dei social, ha cercato di "rimettersi in contatto" con il mondo di 100 anni prima del Bauhaus, rileggendo un logo a tutti comunemente noto (quello di Instagram) con un linguaggio "minimale" lontano dai nostri tempi. Riporto il link della pagina dove poter trovare anche altri loghi contemporanei elaborati in "stile bauhaus" https://en.99designs.it/blog/design-history-movements/famous-logos-bauhaus-style/