Da "La via dei Simboli", Antonino Saggio
“Che cosa è avvenuto in questi trent'anni?
È avvenuto che il mondo, e gli architetti se ne stanno rendendo conto, è mutato e che siamo nell'epoca delle informazioni, nel pieno della Rivoluzione Informatica. E l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi, causa effetto, ma per messaggi metaforici, traslati. Un edifico non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando serve, anche simboli”.
È avvenuto che il mondo, e gli architetti se ne stanno rendendo conto, è mutato e che siamo nell'epoca delle informazioni, nel pieno della Rivoluzione Informatica. E l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi, causa effetto, ma per messaggi metaforici, traslati. Un edifico non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando serve, anche simboli”.
Il movimento moderno, a partire dal Bauhaus, aveva escluso l’esistenza
di una componente simbolica nell’architettura: il simbolo era inteso negativamente,
espressione di un’istituzione, del potere, e le esigenze erano diverse, di case
realizzabili con i tempi e i modi della rivoluzione industriale.
Oggi, epoca della “rivoluzione informatica”, le esigenze sono
diverse: le conoscenze sono ben maggiori e in continuo rapido sviluppo in particolare
grazie alla stessa informatizzazione. Le informazioni si condensano, si riducono
all’essenziale (senza però impoverirsi!), se non addirittura oltrepassano il
limite dell’essenziale. E, oltrepassando il limite, diventano persino metafora
di loro stesse (come gli esempi pubblicitari visti a lezione). Tutto ciò è
direttamente ricollegabile alla questione della “nuova soggettività”: il simbolo
è come un “dato” cui potenzialmente ciascuno potrebbe dare una decodificazione
diversa. Questo è un rischio ma anche una sfida per l’architettura che oggi è
chiamata a confrontarsi con problematiche non meno rilevanti di quelle
affrontate dal Bauhaus o ai CIAM. La “smart city” è anche “città inclusiva”, e
la componente tecnologica e sociale si intrecceranno in un’architettura che
sempre più tenderà ad “alludere” piuttosto che a “dire univocamente”.
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