Monday 10 February 2020

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A. LA CRISI_LUOGHI ABBANDONATI, ROMA
1. Val d’Ala: stazione da 3 milioni di euro chiusa
Stazione Val d'Ala, inaugurata nel giugno 2009 e attivata nel settembre successivo, è durata nemmeno cinque anni: oscurata e sottoutilizzata, fino alla definitiva chiusura nel 2014. 
Una stazione da sempre sottoutilizzata, poche le corse giornaliere garantite ad un bacino d’utenza di oltre 30mila residenti del quadrante Conca d’Oro-Prati Fiscali: per Trenitalia e Regione Lazio - committente del contratto di servizio – evidentemente una fermata secondaria; per i tanti abitanti del quartiere, invece, collegamento fondamentale e veloce verso la rinnovata Stazione Tiburtina, raggiungibile in 6-7 minuti circa, e per l’aeroporto di Fiumicino.

Dai pochi treni giornalieri che, tra mancata pubblicità e totale insufficienza, scontentavano un po’ tutti, ad un vero e proprio azzeramento: una decisione in totale disaccordo con quanto chiesto dal territorio e quanto stabilito dal Consiglio del Municipio III che aveva invece evidenziato la volontà e la necessità di “ampliare il servizio” per troppi anni avvilito e oscurato.
Quella fermata potrebbe tornare più che utile a una zona. Non però nelle modalità del passato.
Stazione Val D'Ala riaprirà nel 2021 (fonte del 2019)
1. Un servizio che garantirà una connessione veloce con la stazione Tiburtina, raggiungibile dalla fermata di Val d’Ala in un tempo stimato di 5 minuti.

2. “fare in modo che quella stazione venga servita dal trasporto pubblico: ci impegneremo per ripensare la rete di superficie in funzione di Val d'Ala affinché avvenga lo scambio gomma-ferro. Dovremo poi pensare anche alla sosta e prevediamo di realizzare una piccola pista ciclabile che da metro Conca d'Oro raggiunga Val d'Ala. Una volta riaperta non sarà una cattedrale nel deserto"

2. “Fantasmi urbani”: 42 sale cinematografiche abbandonate (fonti 2015)
Le sale smettono di aprire e anzi chiudono perché continuano ad essere tutte uguali, tutte senza idee, dei meri contenitori di film portatigli da altri. Lo dimostrano i pochi tentativi fatti in questi anni: le piccole sale che aprono con un’idea imprenditoriale dietro che non sia di rifare quel che è sempre stato fatto, solitamente rimangono aperte e non chiudono.
L’IMAX di Roma è un esempio di grandi investimenti: l’offerta è ampia e se il segmento dei film americani ad altissimo budget ha bisogno di rinnovare di continuo le sale anche con espedienti meramente commerciali (il 3D, il dolby Atmos e tutte le varie evoluzioni tecniche sono sbandierate e promosse per questo), lo stesso dovrebbero fare le altre sale a modo loro e secondo i loro standard. Ma non avviene. I circuiti dove passano i film di livello medio e quelli in cui passano i film d’essai continuano ad essere formati dalle medesime sale che lo hanno sempre fatto con poche variazioni.
Vedere in una crisi un’opportunità di rinnovamento è quello che spinge quel rinnovamento. Invece di rassegnarsi al declino, i gestori dovrebbero puntare su tecnologia e diversificazione. Il cinema, inteso come esercizio, ha molti problemi e una buona quota di questi potrebbero essere risolti da un rinnovamento della sua clientela, cosa che tuttavia non può accadere se gli si continua a proporre sempre il medesimo ambiente, il medesimo servizio (biglietto, popcorn, film) e non si ragiona invece in termini di brand, di servizio completo, di valori annessi. Molti dei cinema piccoli e nuovi che vanno meglio sono anche librerie o bistrot e questo perché si ritagliano un’identità fondata su valori di cultura, autenticità e rispetto della tradizione narrativa. Anche l’opposto (il multisala) funziona perché anch’esso ha dei valori che sposa e promuove (comodità, modernità, grandi impianti…). Tutto ciò che rimane fermo invece muore.

"FANTASMI URBANI" - Il docufilm (2013, 25') : Questo docufilm è dedicato agli oltre 40 cinema chiusi di questa città e ai 120 studenti-ghostbusters della Facoltà di Architettura della Sapienza che hanno ricostruito la memoria storica e documentativa dell’Africa, dell’Airone, dell’Apollo, dell’Augustus, dell’Avorio, dell’Impero, del Metropolitan, del Missouri, del Paris, del Puccini, del Quirinale, del Troisi e del Volturno.

B. TECNOLOGIE_APP MOTIVAZIONALI
Hold, l’app che ti aiuta a disintossicarti dallo smartphone Può sembrarti un paradosso che a darti una mano a disintossicarti dal tuo telefono sia proprio un #app per smartphone, ma Hold, creata da un gruppo di ricercatori norvegesi, serve proprio a motivarti a mollarlo, una volta tanto. Ti basta lasciare il cellulare a riposo il più possibile per guadagnare punti da sfruttare in cinema e altri sconti.
Forest – Stay Focused, l’app che ti tiene lontano dai social Se devi concentrarti su studio e lavoro ma Facebook ti distrae, pianta un albero su Forest e rimani fissa sulla schermata senza uscire per farla crescere. Se cadi in tentazione e cominci a navigare sul tuo smartphone, il tuo alberello non sarà affatto contento!
Plant Nanny, l’app che ti motiva a bere di più Più bevi, più la tua piantina virtuale cresce rigogliosa: non vorrai mica farla morire? Un’app gratuita che ti motiva a bere più acqua e che stimola anche il tuo pollice verde!
Sweatocoin, l’app che ti paga per camminare Tu fai mille passi, questa app li traduce per te in un credito da sfruttare per shopping e acquisto di gadget: mica male come motivazione, no?
Alarmy – Sleep if you can. Si tratta di una delle app più scaricate se intendi risolvere una volta per tutte il problema di come alzarti dal letto in tempo al mattino. Per fare smettere la sveglia di suonare dovrai metterti proprio di impegno, risolvendo ad esempio dei problemi matematici o fotografando un’area designata da te precedentemente.

Goalmap – SMART goal setting to stay motivated aiuta a stabilire e raggiungere la tua meta instaurando le giuste abitudini.

B. TECNOLOGIE_PIU’ EFFICIENZA
1. Intelligent Platform Bar Lite: will increase safety at train stations (16-05-2019)
La società olandese Conclusione ForeyeT ha sviluppato due soluzioni innovative per il settore ferroviario: Intelligent Platform Clock (IPC) e Intelligent Platform Bar Lite (IPBL). Possono essere utilizzati per contare i passeggeri e aumentare la sicurezza nelle stazioni ferroviarie. Queste innovazioni sono state dimostrate a RailTech Europe 2019 a Utrecht.
La soluzione "Intelligent Platform Bar Lite (IPBL)" consiste in una barra luminosa a LED e sensori installati sulla piattaforma di una stazione ferroviaria. Le luci a LED possono trasformarsi in qualsiasi colore. “Prima dell'arrivo di un treno, le luci indicheranno dove saranno le porte. Rende più facile, veloce e sicuro salire a bordo del treno. Quando le porte si chiudono, le luci diventano rosse. Significa che l'imbarco non è più consentito.
Intelligent Platform Bar Lite ha diverse funzionalità aggiuntive. Può aumentare la sicurezza nelle stazioni ferroviarie. "Se qualcuno sta camminando sul bordo della piattaforma dietro la linea di sicurezza, la barra può illuminarsi in rosso per avvertire il viaggiatore di stare attento e tornare in una parte sicura della piattaforma". Si può anche dotare l'IPBL di un sistema audio per prevenire incidenti.
Un'altra caratteristica è quella di contare i passeggeri. “Intelligent Platform Bar Lite ha sensori speciali. Utilizzando questi sensori, possiamo contare i passeggeri che salgono a bordo e partono dal treno, determinano i luoghi di raccolta dei passeggeri, indicano le ore di punta e così via. Gli operatori del treno possono utilizzare le informazioni fornite dai sensori per migliorare il loro servizio. Per esempio; possono usarlo per determinare quando e dove sono richiesti i treni lunghi o accorciati. Le informazioni fornite dai sensori possono anche essere utili per i gestori dell'infrastruttura. Possono scoprire quali luoghi richiedono un aumento della capacità”.
"Intelligent Platform Clock" trasforma un normale orologio a piattaforma in un segnale di informazioni di viaggio. Le luci a LED mostrano ai passeggeri esattamente quanto tempo è rimasto prima della partenza del prossimo treno.



 

2. Virtual passenger gives driver feedback about comfort (30-01-2020)


Ricardo Rail ha ideato un piccolo metro chiamato "Comfort Coach" che mostra ai macchinisti del treno, del tram o della metropolitana come si sentono i passeggeri durante il viaggio. Nel primo trimestre del 2020, Ricardo Rail avvia un progetto pilota con la società di trasporti urbani RET.
Il Comfort Coach misura accelerazioni e decelerazioni su tre assi: avanti, lateralmente e dall'alto verso il basso. Questo nuovo strumento è così piccolo che puoi tenerlo in mano. Inoltre, il guidatore nella cabina può vedere direttamente dallo schermo come i passeggeri stanno vivendo il viaggio e può anticipare le cose su questa base. Se il viaggio è comodo, il passeggero virtuale sembra felice; in caso contrario, ha un'espressione arrabbiata".
"Le accelerazioni e le decelerazioni possono essere causate dal comportamento di un conducente.Ma riguarda anche l'infrastruttura e i treni stessi. Se il profilo di una ruota è scadente o la pista non è ben posizionata, anche questo ha un effetto negativo. "
L'obiettivo del pilota, che avrà luogo nel primo trimestre del 2020, è vedere come funziona il Comfort Coach. Il Comfort Coach esegue misurazioni continue durante il viaggio.
I dati raccolti vengono offerti all'operatore tramite una dashboard online. Sulla base di questi dati, l'operatore può ottenere approfondimenti o condividere dati con il gestore dell'infrastruttura quando è necessario apportare modifiche all'infrastruttura. "


Wednesday 15 January 2020

Modellazione Tridimensionale per Oggetti Verso una Progettazione Architettonica Interattiva


Modellazione Tridimensionale per Oggetti
Verso una Progettazione Architettonica Interattiva
Di Antonino Saggio

Tramite la descrizione di esperienze progettuali compiute dall’autore nel corso del biennio 90-91, l’articolo mostra le grandi opportunità che il CAAD offre come supporto e integrazione delle pratiche tradizionali di progettazione, aprendo la strada a livelli, oggi ancor più elevati di allora, di interattività raggiungibili (what if…???). Il Computer Aided Architectural Design offre vantaggi non solo di ordine pratico (“relazioni di andata”) quali facilità di manipolare, duplicare, trasmettere dati e lavorare in spazi limitati, ma anche “stimoli intellettuali” (“relazioni di ritorno”). Questi ultimi possono interessare sia direttamente l’ambiente informatico in cui noi progettisti operiamo, consentendo ad esempio operazioni di deformazione e trasformazione proporzionale o meno, sia possono travalicare gli ambiti di nostra stretta competenza così da analizzare, scomporre, descrivere, talvolta concepire il progetto stesso in maniera “non convenzionale”, mutuando aspetti dal mondo grafico, cinematografico, artistico, ecc… Importanti “relazioni di ritorno” riguardano anche la ri-programmabilità, ossia la facilità che gli utenti hanno di implementare programmi esistenti inserendo nuove funzioni e comandi (i così detti plug.in), nonché l’interattività, ossia la possibilità di applicare modifiche e osservare in tempo reale cosa questo comporta alla totalità del modello, o del foglio elettronico. Nei modelli tridimensionali questo aspetto è strettamente legato all’organizzazione per strutture gerarchiche, come ben insegna l’ambiente BIM.  
Antonino Saggio espone tre casi esemplari in cui si comprende quanto la modellazione tridimensionale offra enormi potenzialità allo sviluppo progettuale.
Grazie alla modellazione tridimensionale delle volte a cassettoni per le nicchie del College di Belle arti dell’Università Carnegie-Mellon di Pittsburgh è stato possibile sviluppare il disegno dei progettisti e attuare le deformazioni necessarie per ottenere la resa visiva desiderata: ciò non sarebbe potuto avvenire senza la simulazione tridimensionale, e l’organizzazione gerarchica del modello stesso ha consentito di operare modifiche sulla “sezione tipo” della nicchia e vederne la ripercussione immediata sulla “nicchia completa”. Nel progetto per un “parco tecnologico” per Roma la gerarchizzazione ha consentito di sviluppare nel dettaglio circa 100 case: due “ogetti casa” sono stati replicati, localizzati planimetricamente e poi lavorati per sottocategorie testando infissi, recinzioni, coperture, per trovare le soluzioni più adeguate. Infine, il progetto di residenze e servizi per la città di Nimega mostra un livello maggiore di complessità nell’organizzazione gerarchica del modello prevedendo 5 livelli a cascata (modello inter0, contesto, aggregazioni di abitazioni, volumi di sei case-tipo, elementi accessori). Ogni elemento di livello inferiore è inserito e duplicato in quello di ordine superiore e ogni modifica di esso comporta una modifica in tempo reale del modello nella sua totalità.
Anche se l’articolo riguarda esperienze relativamente lontane da noi rende evidenti i punti cruciali delle potenzialità del CAAD, e in particolare dell’ambiente BIM, che proprio sull’organizzazione gerarchica (categoria, famiglia, tipo, istanza) fonda la sua logica. E’ evidente che tali strumenti non sono dei sostitutivi dei mezzi tradizionali né della mente del progettista, non possono né devono “progettare per lui”. Il progetto di architettura è un atto unico e essenzialmente creativo, e la modellazione tridimensionale rappresenta un modo per ampliare le possibilità progettuali, renderle più agevoli, stimolare nuove idee e processi. Non solo: ad oggi con un software BIM come Revit, è possibile gestire l’intero ciclo di vita dell’edificio, andando ben oltre la sola progettazione per simularne il comportamento reale, stimare costi e tempi di realizzazione, gestire processi di manutenzione, ristrutturazione. Abbiamo tutti i mezzi a nostra disposizione, sta a noi saperli usare nella maniera più opportuna, a servizio della nostra creatività…




Saturday 7 December 2019


Dalla lettura di Peter Eisenman. Lotta al cubo, Antonino Saggio

The Virtual House
“The virtual is opposed not to the real but to the actual. The virtual is fully real insofar as it is virtual.”
(“Il virtuale si oppone non al reale ma all'attuale. Il virtuale è completamente reale nella misura in cui è virtuale.")
 G. DELEUZE, DIFFERENCE AND REPETITION

Peter Eisenman sostiene l’autonomia sintattica dell’architettura: in particolar modo nella prima fase di sperimentazioni l’architettura è vista come testo, escludendo qualunque altro valore comunemente assegnatole. La serie di case, significativamente intitolate House I, II, III… rappresentano delle pure esercitazioni, mosse tanto dalla “crisi” derivata dalla fortuna del movimento postmoderno quanto da un’insaziabile voglia di comprendere le infinite possibilità della propria ricerca architettonica.
Le opere di Eisenman, siano esse realizzate, disegnate o modellate, sono mosse da una l0gica essenzialmente vettoriale, come egli stesso sottolinea in svariate occasioni. Già a partire dalle House sopra citate, pur se a livello “embrionale”, piani e volumi sembrano poter traslare e ruotare come fossero entità appoggiate; con la tecnica del “palinsesto” i “layer spenti” riemergono plasmando i movimenti delle nuove architetture; le strutture che pone in “between” si conficcano dinamicamente tra l’esistente. Con la Guardiola House (1988) il concetto di vettore irrompe con tutta la sua forza: movimenti oscillatori generano campi virtuali che possono reificarsi o meno, lasciando in ogni caso traccia della loro celata presenza.

Il tema del campo virtuale è estremamente caro ad Eisenman al punto che, rielaborando il concetto spaziale della House IV, vi dedica un testo (Virtual House, 1987). E il progetto omonimo del 1997 è emblematico. “La casa viene astratta in nove cubi. Questi nove cubi costituiscono un potenziale campo di relazioni interne e condizioni di connettività. Ogni connessione può essere espressa come vettori che agiscono in un dato campo e il movimento di ogni vettore nello spazio e nel tempo comporta modifiche del campo stesso: le tracce che ogni vettore lascia nel suo spostamento. Ogni potenziale connessione può essere espressa come un vettore. Ogni vettore ha un campo di influenza che attualizza il suo movimento virtuale nel tempo. Questa attualizzazione viene visualizzata attraverso l'effetto di ogni vettore sulle linee all'interno del suo campo di influenza. Le linee e le loro proprietà geometriche diventano forze. Per ogni vettore, gli attributi sono stati impostati arbitrariamente per descrivere il suo campo di influenza. I movimenti e le interrelazioni sono stati prodotti da questi attributi, che ora sono visti come vincoli che influenzano la posizione, l'orientamento, la direzione e la ripetizione di qualsiasi vettore all'interno dello spazio. Questi vincoli operano l'uno sull'altro come forze locali. Ogni vincolo agisce e reagisce in base a tre tipi di campi di influenza: punti, orientamento e direzione. Le condizioni di ciascun vettore vengono registrate, non vincolate o vincolate, come una serie di tracce.” (da https://eisenmanarchitects.com/Virtual-House-1997 )

Questo intrecciarsi di parole mi è sembrato estremamente significativo: le linee virtuali si oppongono all’attuale in quanto esse rappresentano la registrazione di tracce generate dal movimento spazio-temporale dei vettori, il quale modifica istante per istante i campi (quello che è l’attuale viene meno non appena si è reso manifesto!). Allo stesso tempo, nel momento in cui il movimento vorticoso dei vettori viene fermato e congelato in forme, il virtuale cessa in un certo modo di essere reale, ossia “perde la sua virtualità” e diviene “attualità”.
In Virtual House Eisenmann spinge al limite la sua "lotta al cubo": del cubo non resta che la memoria a ritroso delle linee che lo hanno modificato. Il cubo c'è e non c'è, o meglio esiste ma in un'altra dimensione spazio-temporale...





Monday 25 November 2019


"Affioramenti dal Basso", Antonino Saggio, Coffee Break

“Ora la bellezza del termine affioramento è nel suggerire un processo di disvelamento "al contrario". Come se il progetto si debba formare certo attraverso stratificazioni, ma invece che attraverso una modalità "dall'alto al basso" con una modalità dal "basso all'alto". Come un insieme di strati che affiorino, che emergano.”


Il concetto di “layer” nella progettazione architettonica contemporanea è intimamente connesso al termine “affioramento”, nonché alla nozione di “infrastructuring”. Nell’era dell’industrializzazione e della modernità alle architetture era richiesto di assolvere funzioni che fossero essenzialmente monotasking: i diversi strati (edificato, percorsi, verde, spazi aperti), pur se estremamente coerenti tra loro, erano intesi come calati dall’alto piuttosto che affioranti dal basso. Nel mondo industriale le autostrade erano autostrade, le dighe erano dighe, e il loro blackout comportava enormi disagi per la collettività. La città dell’era dell’informazione è chiamata a ripensare se stessa per reindirizzare le spinte progettuali dall’esterno verso l’interno, verso le brown areas che, con il supporto di adeguate infrastrutture, possono essere revitalizzate e divenire catalizzatori di interessi sociali e economici. E’ evidente come il processo progettuale, riguardando i luoghi delle periferie, non può che “affiorare” dal basso. Ma l’“affioramento” non è da intendersi in semplice senso metaforico: le architetture si plasmano nel contesto di appartenenza arrivando persino a confondersi con il suolo e a modificarsi con le risorse naturali, in primis quella idrica. Gli spazi aperti accolgono l’acqua in caso di emergenze (esondazione di fiumi, piogge intense), inondandosi, affiorando e riemergendo. Edificato, percorsi, verde, non sono più layer disgiunti e il confine tra l’uno e l’altro diviene così labile da far rientrare il tutto nel concetto più ampio di “scape”. Il paesaggio architettonico e urbano della contemporaneità necessita di un ristabilimento di connessioni fisiche, sociali, tecnologiche (infrastructuring) con architetture che siano “multitasking”, che operino per “iper-layer”.


BIG U, Manhattan


















Nuove Sostanze. Manifesto della Rivoluzione Informatica

“Le aree si liberano, si cerca un rapporto più stretto con l'ambiente, si pensa alla architettura come ibridazione tra natura, paesaggio e tecnologia, si cercano spazi come sistemi complessi sempre più interagenti perché l'Informatica ha cambiato e sta cambiando il nostro essere al mondo ed ha aperto nuove possibilità al nostro futuro" (Antonino Saggio, Nuove Sostanze. L'informatica e il rinnovamento dell'Architettura)


“Sostanza di cose separate”, questo era il fine cui tendevano gli architetti della “Nuova Oggettività”, ossia una “rappresentazione estetica condivisa” (Saggio) volta a risolvere i problemi del mondo industriale (casa per tutti, dotazione di servizi minimi, zoning funzionale…). Oggi gli orizzonti della ricerca architettonica puntano verso “nuove sostanze”. Lo “urbanscape” guarda alle brown areas per ripensare all’interstizio e riconnettere le aree dismesse, ridando loro dignità e vitalità. La natura è vista non più come risorsa da sfruttare ma diviene oggetto di valorizzazione, integrazione e salvaguardia nonché paradigma della complessità di interazioni cui tendere nella progettazione architettonica. Allo “spazio interno” si sostinuisce lo “spazio sistema”, in cui cadono le frontiere nette tra interno e esterno, edificato e non, spazi serventi e serviti, perché l’architettura “iper-funzionale” nasce “naturalmente” dal contesto con cui è chiamata a confrontarsi, ne segue le linee forza e su esse si conforma.  Tutto ciò è accaduto perché siamo nell’era della “rivoluzione informatica”, al contempo “causa e strumento” dello svilupparsi di queste “nuove sostanze”.


Il concetto mi è sembrato estremamente condensato in una foto, opera di Luigi Ghirri (1943-92): l’artista con le sue fotografie ha immortalato molteplici aspetti del “paesaggio dell’architettura” (così si chiama il catalogo della mostra dedicatagli alla biennale di Milano del 2018). La feritoia come figurazione dell’interstizio, ma anche come collegamento tra parti, collegamento non immediato e razionale, ma evanescente (lo sfondo è sfumato, è luce! Finirà? Sarà un bivio? Da dove entra la luce?). E poi, appunto, la luce, ossia la componente naturale, come parte attiva del progetto. Manca la componente informatica: le foto di Ghirri sono tese più alla scoperta del mondo della comunicazione in senso pubblicitario e delle periferie e dei paesaggi naturali come sede di vitalità; d’altronde la sua scomparsa è avvenuta in un momento in cui la “rivoluzione informatica” stava per esplodere con tutte le sue forze.


Il compito sarà il nostro: essere “prosumers” e non “consumers” dei mezzi informatici a nostra disposizione. Questo ci consentirà di sviluppare a pieno il concetto di “field” affrontato nel laboratorio di sintesi: una trama che con i nostri progetti architettonici siamo chiamati a intessere al fine di instaurare continue relazioni con il contesto, con le sue componenti visibili e meno visibili o addirittura non visibili. Vi è una grossa componente di soggettività ma tutto parte dal contesto e dalla volontà di interpretarne aspetti considerati rilevanti per generare un “rapporto univoco” tra suolo e architettura. La complessità del progetto risiederà proprio nella complessità di tale trama.  

Per vedere altre foto dal catalogo della mostra allego link di riferimento https://www.domusweb.it/it/architettura/2018/07/10/luigi-ghirri-il-paesaggio-dellarchitettura.html

Sunday 20 October 2019

Lo strumento per ridefinire i confini dell'architettura -17/10/19



Ridefinire i confini dell’architettura -Paesaggio, Paesaggio mentale, Strumento-

Pensando ai temi trattati a lezione e specialmente quello di “paesaggio” inteso come rappresentazione estetica, condivisa collettivamente e culturalmente, ma in costante evoluzione, di una parte del mondo” (Antonino Saggio, Introduzione alla rivoluzione informatica in Architettura), mi è sorta spontanea una riflessione. Il paesaggio inteso come costruzione mentale implica che noi possiamo vedere e condividere quella determinata rappresentazione estetica che della realtà si ha, ma come sarà questa “rappresentazione” per le persone che “vedono” diversamente da noi? Ipovedenti o che non vedono proprio? Sicuramente anche loro avranno una loro “rappresentazione condivisa”, ugualmente valida, e per certi aspetti molto più sensibile, ma comunque diversa!

E da questa riflessione nasce il Concept che ho pensato potesse essere pertinente al ragionamento, dove la crisi è la condizione di “ipovedenza”. Immaginiamo una persona ipovedente ad esempio nel 1300: non poteva di certo cogliere il paesaggio dei Lorenzetti -nemmeno immaginarselo!- ; ne avrà avuto uno suo, ma probabilmente così diverso dai normo vedenti da far sì che questa condizione in un certo senso pesasse molto, sul modo di percepire la realtà e sulle condizioni di vita stesse. Immaginiamo questa stessa persona prendere una macchina del tempo e trovarsi nel mondo di oggi. L’avanzamento delle conoscenze aiuta oggi le persone ipovedenti a condurre una vita “normale”, e anche la progettazione in quest’ambito gioca la sua parte. Non solo abitazioni dove è più facile e immediato muoversi, prive di spigoli e sporgenze, ma ambienti dove la domotica entra come strumento progettuale determinante per rendere il più possibile autonoma la persona nelle operazioni della quotidianità. E l’Information Technology non si ferma qui: oggi è possibile grazie alle nuove tecnologie sviluppare i sensi di questa persona, potenziare la vista con occhiali e visori che consentono, anche grazie all'uso di ultrasuoni, di orientarsi nello spazio, avere immagini più nitide di quel che li circonda, usare telefoni e tablet. Quella stessa persona ipovedente grazie alle strumentazioni sviluppate e in continuo avanzamento, sarebbe oggi capace di cogliere, in larga parte, il significato di quella “rappresentazione estetica” dei Lorenzetti, rielaborata dai software -strumenti dell’I.T.- e ricomunicata grazie a visori speciali -a loro volta strumenti-.

Rielaborazioni "concettuali" personali dell'Allegoria del cattivo e del Buono governo: come la vedrebbe una persona ipovedente e come software attuali potrebbero rielaborarla e ricomunicarla



Tuesday 15 October 2019

Informazione e architettura. Comunicazione Marsupiale -lezione 14/10/19- RIFLESSIONI E SPUNTI-



Da "La via dei Simboli", Antonino Saggio
“Che cosa è avvenuto in questi trent'anni?
È avvenuto che il mondo, e gli architetti se ne stanno rendendo conto, è mutato e che siamo nell'epoca delle informazioni, nel pieno della Rivoluzione Informatica. E l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi, causa effetto, ma per messaggi metaforici, traslati. Un edifico non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando serve, anche simboli”.


Il movimento moderno, a partire dal Bauhaus, aveva escluso l’esistenza di una componente simbolica nell’architettura: il simbolo era inteso negativamente, espressione di un’istituzione, del potere, e le esigenze erano diverse, di case realizzabili con i tempi e i modi della rivoluzione industriale.
Oggi, epoca della “rivoluzione informatica”, le esigenze sono diverse: le conoscenze sono ben maggiori e in continuo rapido sviluppo in particolare grazie alla stessa informatizzazione. Le informazioni si condensano, si riducono all’essenziale (senza però impoverirsi!), se non addirittura oltrepassano il limite dell’essenziale. E, oltrepassando il limite, diventano persino metafora di loro stesse (come gli esempi pubblicitari visti a lezione). Tutto ciò è direttamente ricollegabile alla questione della “nuova soggettività”: il simbolo è come un “dato” cui potenzialmente ciascuno potrebbe dare una decodificazione diversa. Questo è un rischio ma anche una sfida per l’architettura che oggi è chiamata a confrontarsi con problematiche non meno rilevanti di quelle affrontate dal Bauhaus o ai CIAM. La “smart city” è anche “città inclusiva”, e la componente tecnologica e sociale si intrecceranno in un’architettura che sempre più tenderà ad “alludere” piuttosto che a “dire univocamente”.


Riguardo al dibattito in aula sull’influenza del livello metaforico e del mondo della digitalizzazione e in relazione al progetto Barcode ho trovato navigando in rete un progetto di una torre alquanto “insolita”, ispirata… all’hotspot!! Allego anche il link della pagina, ci sono altri progetti di Jürgen Hermann Mayer dalle forme decisamente particolari (tra cui “Metropol Parasol”, una specie di “foresta” urbana)